Conservatorio di Santa Maria della Misericordia

Nascosto in un vicoletto di via Principe Umberto, il complesso conventuale delle cosiddette Monacelle nacque nel 1725 per volontà di Aurelia Imperiali, vedova del duca Petracone V Caracciolo, che decise di creare una struttura destinata ad accogliere le fanciulle orfane o bisognose disposte a vestire e a seguire le regole dell’ordine delle Agostiniane.

Il convento ospitava anche fanciulle che avessero perigliato nell’errore e disposte a ricrearsi un nuovo ruolo all’interno della comunità religiosa o sociale. Difatti, le fanciulle accolte all’interno del convento potevano anche alla maggiore età decidere di prendere voto o di maritarsi e in tal caso il convento offriva loro anche la dote. Il convento si manteneva dalle rendite proprie, ma soprattutto dalla lavorazione di manufatti, tipici delle arti donnesche, come ricami, pasticceria, sartoria ecc. La struttura fu sempre sotto il controllo delle donne del ducato dei Caracciolo, infatti dopo l’incipit di Aurelia Imperiali, fu Donna Isabella D’Avalos (moglie di Petracone VI e madre di Francesco III Caracciolo), che continuò con operosità e dedizione l’opera di potenziamento del convento. Nel 1773 riuscì ad ottenere il Reale Assenso, ossia il riconoscimento giuridico del Conservatorio. Questo evento storico è riportato su una lapide in stile barocco, affissa sulla parete sinistra della chiesetta, riproducente alla sommità lo stemma degli Avalos (tre guglie) e quello dei Caracciolo (leone). Il convento è sempre stato sotto la gestione delle donne della casata Caracciolo prima, e della casata De Sangro successivamente, ecco perché il convento è denominato anche Conservatorio Caracciolo-De Sangro.

In città esisteva a quei tempi anche un altro convento femminile che seguiva la regola agostiniana: quello di Santa Maria della Purità (piazzetta Don Bosco), ma con notevoli differenze. Infatti, mentre quest’ultimo era votato principalmente alla vita claustrale, la nuova struttura monastica aveva più le caratteristiche di una struttura familiare e socio-assistenziale, mantenendo pur sempre una natura mista fra privato e religioso. Dal punto di vista architettonico il complesso nacque dall’aggregazione di diversi edifici privati di cui il nucleo più consistente apparteneva al canonico Giovanni Turnone. Per questo il convento non presenta il classico chiostro centrale con l’edificio ruotante attorno; difatti ha più le sembianze di una casa signorile con un vasto androne di accesso. Il portale di ingresso, in bugnato tardo-rinascimentale, è nascosto infondo al vicolo cieco.

Lungo tutto il lato esterno, che si affaccia in via Principe Umberto, in alto, si collocano delle finestre con grate spanciate, che sottolineano la natura riservata della struttura, e un belvedere realizzato da lastre in pietra traforata con disegni particolari. L’ingresso della cappella, affianco a quello del convento, è accentuato da un medaglione ovale con cornice ben lavorata e da una finestra polilobata. La chiesetta è ad una sola aula, divisa da due campate con collocazione dei matronei in alto a sinistra. Presenta due altari in stile barocco dipinti con l’effetto di finti marmi policromi. Nella nicchia dell’altare centrale è posta la statua della Madonna della Misericordia, lateralmente ci sono due telette ovali attribuite alla scuola di Domenico Carella e raffiguranti San Michele Arcangelo e l’Arcangelo Raffaele con Tobiolo (soggetto identico a quello presente nella Basilica di San Martino lungo il transetto di sinistra). Sulla destra si apre una nicchia quadrata con la teca contenente la scultura vestita di Santa Filomena (XVIII secolo). Sulla sinistra, all’interno di una cornice argentea con sportello in legno dipinto, raffigurante la Caduta di Cristo nella parte esterna e la Madonna Addolorata nella parte interna, si trova l’effigie del Volto Santo, donata a Martina Franca dai Cappuccini di Siena tramite il Cardinale Innico Caracciolo (fratello di Petracone V) nel XVII secolo. In un primo momento l’opera fu conservata a Palazzo Ducale, poi nel 1730 passò sotto la custodia dei Cappuccini, in seguito alla soppressione dell’ordine, nel 1863, la reliquia fu affidata alla Conservatorio. Altri due dettagli importanti sono l’altare settecentesco di San Giuseppe, sulla parete di destra, e il comunichino, sulla parete di sinistra, arricchito da una fantasiosa cornice barocca in marmo. Il comunichino era una porticina che permetteva alle suore di prendere l’ostia senza essere viste dall’assemblea porgendo solo le mani attraverso una piccolissima finestrella.

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