La Quarantana

In tempo di Quaresima, se si passeggia per i vicoli del centro storico a testa in su si possono ammirare le caratteristiche “Quarantane”. Si tratta di bambole di pezza sospese ad un filo annodato tra due balconi, che simboleggiano proprio l’inizio del periodo di astinenza, di penitenza e di soppressione dei bisogni individuali, che è appunto la Quaresima, la preparazione alla Pasqua. Secondo la tradizione popolare, la “Quarantana” rappresenta la vedova di Carnevale, vestita a lutto con un fazzoletto annodato sul capo ed accompagnata dai simboli delle privazioni tipiche di questo periodo: taralli, forbici (i quali fanno riferimento al fatto che anticamente si diceva ai bambini “se mangiate la carne la Quarantana vi taglia la lingua”), un fuso per filare la lana e una scopa (simboli del duro lavoro femminile), una salsiccia, un’arancia che simboleggia la fugacità delle cose belle, e un fiasco di vino. Una tradizione , quella della “Quarantana” che seppur diminuita, resiste ancora e non manca di attirare l’attenzione dei passanti. Di questa antica tradizione popolare, purtroppo, rimangono soltanto tracce orali nei ricordi degli anziani che lasciano presupporre un’origine legata ai riti cristiani di digiuno e di penitenza, osservati in occasioni della Quaresima, dopo i festeggiamenti di Carnevale.

La Chiesa fissò, infatti, in quaranta giorni, l’obbligo del digiuno, escludendo le sei domeniche precedenti la Pasqua, per cui tutti giorni dell’intero periodo si desinava solo la sera. Il termine Quaresima (quadragesimam diem) derivò da tali quaranta giorni di penitenza, istituiti ad imitazione dei quaranta giorni di digiuno vissuti da Gesù nel deserto. Questi divieti erano osservati persino dalle autorità civili le quali, per esempio, interdicevano la vendita della carne, imponendo la chiusura delle macellerie. La cultura popolare assimilò, in modo originale, questi precetti dando vita al fantoccio quaresimale, meglio conosciuto come Quarantena o Quarantana che rappresentava, sotto forma di una vecchia laida e magra, i quaranta giorni di digiuno. Il Mercoledì delle Ceneri compariva nelle strade di molti centri un lugubre pupazzo, costituito da un’intelaiatura di manici di scopa incrociati, da cenci aggrovigliati e da uno straccio bianco sul quale si abbozzava un tetro volto. Il fantoccio aveva il capo coperto da un fazzoletto bianco annodato alla gola, ed era abbigliato in segno di lutto con smessi abiti neri di antica foggia pugliese: u sci pp , vale a dire la camicetta, a ciàcch , veste lunga fino ai piedi, ed i cazitt , le calze. La Quarantena reggeva con una mano u f s (fuso per filare) e con l’altra a fr sèdd (piccolo tarallo casalingo fatto con farina di grano, olio, vino e semi di finocchio selvatico). Sulla stesso filo, ai lati della vecchia, si sospendevano un’arancia ed una bottiglia di vino. Il fuso, largamente usato dalle popolane, rappresentava il duro e monotono lavoro quotidiano, mentre gli alimenti indicano la sobrietà nei pasti e l’astinenza dai cibi grassi. Fino alla Domenica delle Palme veniva aggiunta, di volta in volta, un’altra fr sèdd alla prima per scandire le settimane della Quaresima.

Informazioni

Il fantoccio si deponeva o si abbatteva, anche a colpi di schioppo, fra l’entusiasmo dei presenti, soprattutto dei più piccoli, il mattino del Sabato Santo, quando spar v a Vulòri , ossia nel momento liturgico solenne del Gloria, che annunziava la Resurrezione del Cristo e la fine delle privazioni.

Bibliografia

Grassi, G. (1946) I mesi di gennaio e di febbraio nelle credenze popolari, in La Voce della Scuola, Martina Franca, Anno III, n. 6, p. 7; -Liuzzi, G. (1997) Il Carnevale e la Quaresima nella storia e nella tradizione, in Umanesimo della Pietra. Città & Cittadini, n. 3, Martina Franca, pp. 49 – 64.

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