Convento delle Agostiniane

Il Convento delle Monache Romite Agostiniane nacque nel XVII secolo per volontà dell’arcivescovo di Taranto, Tommaso Caracciolo, che il 16 maggio del 1653, dietro una disposizione papale, faceva sopprimere il convento dei Frati Minori Conventuali, intitolato a San Francesco d’Assisi, e destinare le rendite di quest’ultimo a favore della fondazione di un convento di clausura femminile intitolato a Santa Maria della Purità delle Agostiniane. Il convento francescano fu fondato sul finire del XV secolo e si collocava presumibilmente fra le chiesette extraurbane dello Spirito Santo e della Madonna delle Grazie, a ridosso della Valle d’Itria. Oggi non esiste più nessuna traccia, tranne una lapide pentagonale che è stata inserita nel perimetro interno dell’attuale chiostro delle Agostiniane. Su questa lapide si riporta un’iscrizione epigrafica di incerta lettura; si riesce a leggere una data: MCCCCLXXVIII, (1478) e un nome: LUCA / DE AN / GELI / NO F / IEM / E EC (Angelino De Luca fece fare). Questi dati fanno riferimento sicuramente all’erezione di un altare all’interno dell’antica chiesa francescana.

Il complesso delle Agostiniane sorse a ridosso di un sito che era occupato da un’antica cappella dedicata a San Nicola dell’Appennino e ricadente in un’area abitata dai discendenti di coloni longobardi. La zona fu completamente sventrata per dare spazio ad un imponente complesso monastico che finirà per occupare un intero isolato. Il convento di clausura poté contare su ingenti lasciti e donazioni perché accoglieva all’interno della vita conventuale le figlie del ceto più abbiente e benestante di Martina, fra cui anche alcune figlie dei duchi Caracciolo. Non a caso questo convento era comunemente detto a Martina delle Monache Grandi, non solo per l’enorme edificio, ma soprattutto perché le novizie che decidevano di seguire la Regola di Sant’Agostino appartenevano al ceto sociale più prestigioso di Martina. In città, a distanza di qualche decennio, all’inizio del XVIII secolo, nascerà un altro convento femminile, il Conservatorio di Santa Maria della Misericordia (via Principe Umberto), che per distinguerlo era detto delle Monacelle, poiché ospitava fanciulle di estrazione sociale più umile.

La regola a cui si ispiravano le Monache, cosiddette Grandi, era quella agostiniana e la severità della regola claustrale è implicitamente comunicata dalla possente struttura architettonica che colloca poche finestre ai piani superiore per proteggere la vita spirituale delle monache. La parte superiore è coronata da una balausta traforata per permettere alle suore di poter osservare il mondo esterno celando la propria persona da sguardi indiscreti. Il profilo del terrazzo è decorato da fiaccoloni e da statue di angeli; intenti, quasi, a vigilare sulla vita ascetica delle monache. Su tutto spicca, in alto, il belvedere le cui forme sinuose vengono paragonate a quelle della cella campanaria di Sant’Andrea delle Fratte del Borromini.

L’ingresso del convento è sottolineato da una semplice arcata con al centro un bassorilievo raffigurante Sant’Agostino. All’interno del convento, nonostante i diversi rifacimenti, si conservano ancora alcune preziose testimonianze artistiche; come ad esempio la tempera dell’Ultima Cena, nell’ex-refertorio, attribuita a Domenico Carella e due vere da pozzo, all’interno del chiostro, con una raffinata decorazione seicentesca di carattere naturalistica.

Attualmente il complesso è gestito dalla Curia di Taranto e per decenni ha ospitato l’Ordine delle Figlie di Maria Ausiliatrice.

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