Chiesa di San Francesco D’Assisi

L’Ordine Francescano dei Conventuali, volgarmente detto dei francescani neri, giunse a Martina sul finire del XVII secolo e ottenne il permesso dall’Università di edificare un nuovo luogo di culto a ridosso della Porta di San Nicola. In realtà era il secondo complesso dei Conventuali che nasceva a Martina. Il primo era sorto fra il 1473 e il 1653 a ridosso della Valle d’Itria, per poi essere distrutto e donare le rendite alla nascita del convento di clausura femminile di Santa Maria della Purità delle Agostiniane (piazzetta Don Bosco).

I Conventuali nel 1680 iniziarono i lavori di costruzione sia della chiesa che del convento. Quest’ultimo fu concluso nel 1718 e dieci anni dopo fu ultimata anche la chiesa. Una volta terminati gli edifici, i lavori interessarono le rifiniture degli interni coinvolgendo degli abili scalpellini leccesi per realizzare gli otto altari in stile barocco.
La struttura attuale misura in lunghezza 32 metri, in larghezza 14 metri e in altezza 11 metri. La facciata della chiesa non è quella originale del Settecento, poiché fu ricostruita parzialmente nell’Ottocento in seguito alla distruzione causata da un uragano che nell’ottobre del 1852 vi si abbatte contro. La facciata ha un’impostazione simmetrica molto razionale e nitida. La partitura è scandita da quattro esili paraste ed è divisa in due ordini da un cornicione centrale aggettante. Superiormente termina con una cimasa definita da due volute e da due fiaccole in bassorilievo.
L’attuale prospetto, anche se profondamente modificato, pur nella sua semplicità mostra caratteri barocchi che si evidenziano specialmente sul portale. Infatti, questo centralmente è delimitato da due colonne scanalate con capitelli compositi e piedritto reggenti un timpano spezzato decorato. La trabeazione presenta una raffinata decorazione con girali vegetali, mentre una delicata cornice di foglie di acanto e grani di rosario avvolge tutta la modanatura del portale. Al centro del timpano spezzato, all’interno di una nicchia con timpano classicheggiante e lesene scanalate si colloca la statua dell’Immacolata, protettrice di tutte le comunità francescane. Lateralmente si aprono due finestre monofore. Alle estremità del primo ordine, all’interno di due nicchie decorate da volute, si inseriscono le sculture dei santi più importanti dell’ordine: Sant’Antonio da Padova, a destra e San Francesco d’Assisi, a sinistra. Nell’ordine superiore si apre un finestrone con timpano curvo rivestito da vetrate colorate.
La chiesa è anche Santuario di Cristo Spirante, infatti, qui si venera una raffinata scultura settecentesca, recentemente restituita al suo antico splendore. Questo culto fu introdotto nel Settecento con una cerimonia liturgica specifica che si svolgeva ogni venerdì pomeriggio.
Nel convento adiacente, in seguito alla soppressione murattiana del 1809, i locali furono utilizzati dapprima come ospedale civile, laboratorio e orfanotrofio gestiti dalle Figlie della Carità e poi negli ultimi decenni come ospizio. Oggi alcuni locali del convento ospitano degli uffici comunali, mentre altri accolgono la Confraternita di Sant’Antonio da Padova, fondata nel 1706 dal frate conventuale Francesco Antonio Spennati. All’interno dell’oratorio si conserva un ipogeo sepolcrale, testimonianza dell’antico culto per i defunti da parte dei confratelli. La confraternita organizza ogni anno la processione dei Misteri della Passione di Gesù istruita nel lontano 1716. Durante la processione per le vie della città vengono portate a spalla ben 13 statue a grandezza naturale realizzate in carta pesta policroma e con gli incarnati fatti in legno colorato. Le sculture sono di manifattura napoletana, databili intorno al XIX secolo, e per tutto l’anno sono custodite all’interno dei locali della confraternita.
L’abito tradizionale dei confratelli è costituito da un sacco bianco, una mozzetta marrone con l’effigie del santo patavino e dal cordone francescano. La confraternita festeggia solennemente Sant’Antonio da Padova la domenica dopo il 13 giugno.

Interno della Chiesa di San Francesco d’Assisi

L’interno, semplice ma allo stesso tempo solenne, funzionale al raccoglimento e all’intimità delle chiese francescane, si sviluppa in una vasta aula rettangolare, movimentata da ben otto altari riccamente scolpiti che la sobrietà della facciata non lascia presagire. E’ la chiesa barocca per eccellenza in cui gli altari laterali, intagliati nella pietra, sono abbondantemente ornati da colonnine tortili, puttini, girali, foglie di acanto, cornici mistilinee, timpani spezzati e fregi fantasiosi ispirandosi ai canoni più ricercati del plasticismo barocco leccese. Ogni altare è un tripudio di forme e di colori in cui oltre alla scultura e alla tela centrale presenta un ricco repertorio di statue mobili laterali che rendono ancora più fastosa e ricca la macchina d’altare. In molti casi le statue riportano alla base il nome scritto con l’intento di sottolineare l’aspetto didattico-devozionale che in una chiesa francescana si cercava di rendere quanto più immediato e comprensivo per il fedele.
Partiamo dal primo altare sulla sinistra. Fu realizzato nel 1710 per volere della famiglia Motolese, che fa apporre il proprio stemma alla sommità dell’altare (tre querce con tre volatili). La pala di altare è realizzata da un pittore anonimo del Settecento e raffigura l’episodio storico del 2 agosto 1216 quando La Vergine appare a San Francesco concedendogli il perdono di Assisi. Oltre alle colonne tortili l’altare si arricchisce di un vasto repertorio scultoreo; la statua di San Bernardino da Siena, a sinistra, e di Santa Chiara, a destra. In alto, sulla trabeazione vi sono le statue di San Pietro di Alcantara e di San Pasquale Baylon.
Il secondo altare fu costruito nel 1724 dal conte palatino Pietro Antonio Barnaba (proprietario del palazzo in via Mazzini n, 24), e fu dedicato a San Giuseppe, come chiaramente si può dedurre dalla scultura in pietra dipinta posizionata nella nicchia. In alto le sculture raffigurano sicuramente i santi onomastici di conte: San Pietro Apostolo e Sant’Antonio da Padova.
Segue la terza cappella, dedicata al Crocifisso, la cui pala d’altare ospita una tela del Settecento raffigurante il Cristo Crocifisso. Fino alla seconda metà del Novecento qui era collocata la scultura che attualmente sovrasta l’altare principale. La tela è fiancheggiata da due colonne tortili con la statua di Santa Maddalena, a sinistra e di Santa Veronica, a destra. In alto si collocano le statue di San Vito e di San Ciro martire con, al centro, il Volto di Cristo dipinto. Sotto l’altare, dietro una vetrata, è deposta la statua del Cristo morto.
L’ultima cappella sulla sinistra conserva la tela dell’Immacolata Concezione, opera attribuita a Nicola Gliri, pittore del Seicento originario di Bitonto molto attivo a Martina Franca. La cappella fu eretta a spese di donna Marsilia Fullone, donna martinese molto facoltosa vissuta fra il Seicento e il Settecento. Infatti, in alto sull’altare, è riportato lo stemma della sua famiglia: uno scudo con al centro un fascio di gigli legati assieme. Questa donna finanziò anche l’altare di San Francesco, l’altare di fronte. Ambedue gli altari sono stati scolpiti da Carlo Intini, sacerdote e prodigo scultore del Seicento originario di Putignano Questo altare si caratterizza perché l’artista sistema le sculture sui lati obliqui dei timpani spezzati, ponendo figure che impersonificano le virtù; come la Castità, a sinistra e la Purità, a destra, mentre nello spazio centrale appare il Padre Eterno. Il paliotto riproduce la Vergine Incoronata da due angeli in mezzo ad una fitta decorazione di girali e racemi.
L’altare maggiore, dedicato al Santissimo Sacramento, è stato ristrutturato in toto nell’ultimo decennio ed è dominato dalla scultura realistica del Cristo Crocifisso, attribuita a Giacomo Colombo, artista veneto molto attivo a Napoli fra la fine del XVII e XVIII secolo.
Proseguiamo la visita ammirando le cappelle che si sviluppano sull’altro alto. La prima cappella è dedicata a San Francesco d’Assisi e accoglie l’omonima scultura dipinta del XVIII secolo. Lo schema decorativo è identico a quello dell’altare dell’Immacolata, solo che questa volta sulle cornici oblique dei timpani sono adagiate due donne che simboleggiano la Sinagoga, a sinistra e la Chiesa, a destra, che stringe a sé l’agnello, allegoria della Passione di Cristo. Centralmente compare il Cristo in vincoli. Il paliotto di altare riproduce San Francesco e le anime purganti all’interno di una cornice delineata da una conchiglia sorretta da due angeli e da una copiosa decorazione naturalistica.
Anche la cappella successiva è dedicata ad un santo francescano: Sant’Antonio da Padova, la cui scultura in pietra dipinta troneggia al centro della nicchia su un basamento con volti di puttini. Lateralmente vi sono quattro piccole statue di sante vergini e martiri: Santa Barbara, a sinistra in alto, in basso Sant’Agata; a desta in alto, Santa Apollonia, in basso Santa Lucia. Nella parte superiore, al centro spicca una croce litica in mezzo a due angeli, mentre a sinistra si colloca San Nicolò e a destra Sant’Oronzo. Questa cappella è stata sottoposta a saggi di pulitura che hanno fatto emergere l’originale policromia degli altari velati dal bianco. Una scoperta artistica sensazionale che fa immaginare il meraviglioso tripudio cromatico che in epoca barocca doveva contraddistinguere questa chiesa. La stessa scoperta è emersa per il soffitto. Infatti, la copertura originaria era fatta con travi a capriata senza il controsoffitto, che fu realizzato con volta a cassettoni ottagonali nel 1880. I cassettoni attualmente si presentano dipinti con una vernice marrone, ma in seguito ad alcuni saggi-campione di pulitura è emersa su un ottagono una straordinaria decorazione floreale.
Il terzo altare si distingue per la statua in pietra dipinta di San Filippo Neri con ai lati San Rocco, a sinistra, e il Beato Andrea Conte, a destra. In alto, sulla trabeazione, al centro vi è San Giovanni Battista, affiancato da San Bonaventura da Bagnoreggio, a sinistra, e San Luigi (Luigi IX, re di Francia), a destra.
E infine l’ultimo altare dedicato a San Michele Arcangelo, ospita una tela con omonimo soggetto. Il dipinto fu compiuto da Pietro Cataldo De Mauro nel 1763 (iscrizione sul margine inferiore della tela). Lateralmente ad esso abbiamo, a sinistra, Santa Elisabetta d’Ungheria e, a destra, Santa Rosa da Viterbo.

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