Chiesa del Carmine

All’inizio del Seicento giunse a Martina l’Ordine Carmelitano che si stanziò in un sito, fuori le mura, dove esisteva già una cappella cinquecentesca dedicata alla Madonna della Misericordia. Nel 1614 i Carmelitani avviarono la costruzione del convento, che verrà ristrutturato nei secoli successivi fino ad assumere nel periodo fascista il ruolo di O.N.M.I. (Opera Nazionale Maternità e Infanzia).

A distanza di un secolo dalla costruzione del convento, Frate Pietro Tommaso Carbotti decise di ricostruire la chiesa, ponendo la prima pietra il 15 marzo del 1727. In realtà, se si osserva attentamente sulla facciata, all’altezza della prima cornice del marcapiano, all’interno di un cartiglio è incisa la seguente iscrizione: A SOLO ERECTA / 1730, (Eretta dalle fondamenta nel 1730). Questa data indica solo l’ultimazione del primo ordine e non di tutta la chiesa, che fu conclusa intorno al 1758.

Il progettista, la cui identità è ancora oggi fonte di discussione, concepì una struttura architettonica ritmata da un gioco continuo di timpani curvilinei e troncati, conferendo movimento e plasticità al prospetto, ed enfatizzandolo con l’aggiunta di svolazzi barocchi disseminati su tutta la facciata. In realtà, anche se non si è certi, più di qualche studioso avanza l’ipotesi che l’architetto sia il leccese Mauro Manieri, formatosi a Roma all’ombra dei modelli del Borromini, e che una volta rientrato in Terra d’Otranto abbia riproposto lo stile borrominiano su diversi edifici; come ad esempio la cattedrale di San Cataldo a Taranto (1713). In effetti, il modello proposto sulla facciata della chiesa martinese sembra una contaminatio fra la facciata romana dell’Oratorio dei Filippini del Borromini e la facciata tarantina del San Cataldo del Manieri. Il timpano spezzato e rovesciato del portale di ingresso e la cimasa mistilinea sono una chiara citazione del linguaggio architettonico del Borromini, oltre alla perfetta ripartizione dei volumi. L’edificio è scandito in senso verticale da paraste con capitelli e in senso orizzontale da cornicioni aggettanti. La parte superiore della chiesa è divisa in tre campate, mentre quella inferiore in cinque, di cui le due estreme sono leggermente più arretrate conferendo alla facciata un senso di dinamismo. Il portale è molto semplice, non presenta nessuna cornice particolare, fatto salvo la decorazione superiore che è molto ricercata. Infatti, su dei peducci, ornati con foglie di acanto, sono impostati i due timpani spezzati arricciati alle estremità. Al centro si colloca una mandorla con l’effigie in argilla della Madonna del Carmine, che sembra quasi essere sorretta, o meglio portata in volo, da un cherubino paffuto con ali spiegate. Sul primo ordine all’interno di due nicchie, la cui volta è cinta da conchiglie, si distinguono due statue; a destra, Sant’Alberto di Trapani, e a sinistra, San Pier Tommaso. L’ordine superiore è dominato da una finestra-balcone con timpano curvo, decorato all’interno da volute, e da una balaustra con colonnine foggiate, adagiate sul cornicione. Lateralmente ci sono due nicchie ospitanti due statue ex-novo di recente fattura. A destra, si trova Santa Teresa D’Avila e a sinistra, San Giovanni della Croce. La facciata termina in lato con un timpano mistilineo contenente centralmente lo stemma dell’Ordine dei Carmelitani (palma del martirio incrociato con il giglio fiorito e la stella caudata). Anche questa facciata, come quelle dei monumenti più rappresentativi, è dominata superiormente e lungo i fianchi dai tipici fiaccoloni in pietra.

Le pareti laterali della chiesa sono realizzate con pietra sporgente evidenziando l’enorme mole dell’edificio e sottolineando l’imponenza e la ponderatezza della fabbrica. Sul lato sinistro si può ammirare la cella campanaria aperta da quattro fornici con balaustra. Si riesce anche ad osservare l’enorme tamburo, traforato da finestre molto ampie, che culmina in alto con un’elegante lanterna.

Interno della Chiesa del Carmine

L’interno della chiesa è a croce latina con una sola navata. Lungo le pareti si aprono due cappelle per lato e in fondo un ampio transetto e presbiterio con ballatoio superiore. Tutti gli altari sono in pietra locale intagliata e dipinta tranne quello maggiore che è realizzato con marmi policromi. La decorazione interna è realizzata con intonaci e stucchi che riproducono l’effetto del finto marmo policromo. Questi abbellimenti in massima parte furono realizzati sotto la committenza dei Padri Liguorini, fra il 1859 e il 1865, con l’intento di riportare la chiesa del Carmine al suo antico splendore dopo la soppressione napoleonica dell’Ordine dei Carmelitani. Fra questi interventi quello di maggior effetto scenografico è la decorazione realizzata con stucchi colorati che avvolge tutta la volta e la cupola. Nel 1886, dopo la partenza dei Liguorini dalla chiesa, fu la confraternita ad assumere la gestione religiosa e materiale della chiesa.

Iniziamo la visita interna partendo dalla prima cappella di sinistra, dedicata alla Madonna della Libera. Qui si conserva la tela firmata e datata da un pittore martinese, Giovanni Stefano Caramia, dal titolo la Madonna della Libera fra i Santi Michele Arcangelo e Eligio (1660). L’opera si ispira ai canoni estetici del barocco privilegiando l’uso di cromie brillanti, l’infinita dilatazione degli spazi e la ricerca quasi fiamminga dei particolari che definiscono le singole figure. Sulle pareti della cappella si possono ammirare due dipinti settecenteschi; sulla sinistra vi è la tela del Beato Angelo Mazzinghi, mentre sulla destra quella del Beato Franco da Siena, realizzata precisamente nel 1725 da Carlo Domenico De Gesù, oriundo di Martina Franca. La seconda cappella, dedicata allo Spirito Santo, accoglie due sculture moderne in legno di Enrico Moroder da Ortisei: la Pentecoste (1995) e i Beati Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta (2007). Interessante artisticamente è il dipinto della Deposizione del 1744 che si trova sulla parete sinistra. Esso fu realizzato da suor Maria di Gesù Martucci, monaca bizzoca e pittrice devozionale martinese, che si cimentò in una copia dello stesso soggetto realizzato da Leonardo Antonio Olivieri.

Siamo nel transetto; sulla parete di sinistra spicca la tela di Santa Filomena, datata nel 1878 e firmata da Antonio Semeraro, pittore di Locorotondo. Nella testata del transetto, si colloca l’altare della Madonna del Carmelo, detta la Bruna, per il colore scuro della pelle. L’ancona riproduce la Madonna del Carmelo fra Sant’Alberto da Trapani e Sant’Angelo di Sicilia; databile nella seconda metà dei Seicento e firmata da MP, pittore di cui ancora si ignora la vera identità. Le pareti di fondo ospitano due dipinti del Settecento attribuite a Pietro Cataldo Mauro; in alto a sinistra, l’Assunzione della Vergine e a destra, l’Incoronazione della Vergine. Sulla parete di destra del transetto all’interno di una teca si custodisce la statua vestita della Madonna del Carmine (secolo XIX), portata in processione in occasione dei festeggiamenti solenni. Questa viene definita dal popolo la Scapigliata, pervia della lunga chioma che sventola durante le processioni. In alto sulla stessa parete vi è il dipinto della Madonna del Carmelo che salva un cacciatore in pericolo. L’opera risale al Settecento e raffigura un incidente di caccia occorso a Ettore Blasi (lo stemma della casata compare in basso a destra), figura di primo piano nella vita politico-amministrativa martinese del secondo Settecento e fervente devoto della Madonna del Carmine. Scampato al pericolo, insieme a un suo vaccaro, Ettore Blasi si recò in chiesa a rendere grazie alla Madonna e volle ricordarne con questo quadretto l’intercessione miracolosa.

Arriviamo al presbiterio, dominato a metà altezza da ballatoio con balaustra che sovrasta uno splendido altare in marmo policromo del Settecento. La pala d’altare, inserita all’interno di una fastosa cornice con una cordonatura a festoni intrecciati, raffigura la Madonna del Carmelo e i Santi Simone Stock, Elia ed Eliseo. La tela fu dipinta da Pietro Cataldo Mauro nel 1760 e nel 1765 lo stesso pittore aggiunse tredici ovali con episodi miracolosi della Madonna del Carmine. L’altare maggiore fu consacrato nel 1759 dall’arcivescovo Francesco Saverio Stabile, molto devoto della Madonna del Carmine, tanto da riportare la stella caudata all’interno del proprio stemma familiare. Questo stesso arcivescovo a distanza di decenni, precisamente nel 1775, inaugurò anche la nuova fabbrica di San Martino.

Dietro l’altare si conserva il pergamo in legno intarsiato e intagliato da Domenico Semeraro (1859) e nel muro è incassata la tomba di Maria Lacarbonara (1865), madre di un noto chirurgo dell’Ottocento martinese, Giuseppe Testa, che si distinse per lustro e fama a Napoli.

Proseguiamo la visita spostandoci nel transetto di destra, non senza aver dato uno sguardo in alto per ammirare la stupenda decorazione della cupola ottagonale impostata su un tamburo con finestre polilobate. La decorazione dell’intradosso, realizzata con stucchi policromi nell’Ottocento, è caratterizzata da rosoni esagonali che creando uno spettacolare effetto decrescente verso il lanternino con Occhio di Dio a tromp d’oeil. Nello stesso secolo furono realizzati da Vincenzo Buscicchio da Taranto gli altorilievi dei Quattro Evangelisti, posizionati sulle vele. Le quattro sculture, collocate nelle nicchie, ricavate all’interno dei costoloni che sorreggono la cupola, furono inserite all’inizio del Novecento.

Sulla parete di sinistra, sopra l’ingresso che conduce in sagrestia, si trova la tela settecentesca del Riposo durante la fuga in Egitto. Approfittiamo per entrare in sacrestia. Il vano è completamento arredato da armadi in noce scuro intarsiati (1773), attribuiti ad un ebanista martinese, Martino Marinosci, e commissionati dal Padre carmelitano Pietro Tommaso Martucci. Nella nicchia centrale, di fronte all’ingresso si conserva una scultura litica policroma della Madonna. L’opera, dalle fattezze dozzinali, è attribuita alla scuola rinascimentale di Stefano da Putignano. Una curiosità; se vi avvicinate e guardate il mantello che scende sulla destra troverete un foro. Secondo la tradizione locale quel buco fu causato da uno sparo durante il leggendario assedio dei Cappelletti nel giugno del 1529. Sulle pareti superiori sono collocate molto opere di diverso periodo. Partendo dalla parete sulla sinistra, sull’ingresso che introduce nel presbiterio, si trova collocata l’opera di Leonardo Antonio Olivieri, firmata in basso a destra nel 1720, con l’immagine della Madonna del Carmelo con San Simone Stock e confratelli. Questa tela è la prima opera documentata del celebre pittore martinese, trasferitosi a Napoli alla bottega di Francesco Solimena, dove ebbe modo di perfezionare il suo talento naturale. Seguono altre opere, di autori anonimi e di datazioni differenti, nell’ordine; Gesù tra i dottori, Ascensione di Cristo, Resurrezione di Cristo, Deposizione dal sepolcro con santo Vescovo e anime purganti, Trasporto di Cristo al sepolcro. Quest’ultima risale all’inizio del Novecento e si tratta di una perfetta copia dello stesso soggetto realizzato da Antonio Ciseri nel 1883 e conservata presso il Santuario della Madonna del Sasso ad Orselina (comune svizzero del Canton Ticino). Dalla sacrestia è possibile accedere all’Oratorio dell’Arciconfraternita del Monte Carmelo.

Ritorniamo in chiesa. Sulla testata del transetto si colloca l’altare con la pala del XVIII secolo della Transerberazione di Santa Teresa D’Avila. Sulle pareti in alto trovano spazio due dipinti ad olio; a sinistra, i Santissimi Medici, mentre a destra, il Cristo caduto sotto la croce. Entrambi del Settecento, così come dello stesso secolo è la copia della Natività della Vergine dell’Olivieri (l’originale è conservata nell’Oratorio della Confraternita dei Dolori della vergine, vico Cavour). Questa riproduzione è attribuita a Pietro Cataldo Mauro nel 1776.

Proseguendo verso l’uscita; nella seconda cappella vi è la scultura lignea del Cristo Crocifisso, datata nel 1630 e realizzata da Giacomo Genovini, scultore gallipolino. Nell’ultima cappella vi è una tela del 1806, opera di ignoto autore locale, raffigurante la Deposizione di Cristo dalla croce (copia da Jusepe de Ribera detto lo Spagnoletto). Sulla parete laterale alla bussola è murato un bassorilievo raffigurante la Madonna del Monte Carmelo con le anime purganti (1934), opera di Francesco Corrente, scultore martinese, detto il Marcomagno, inserito all’interno di una cornice originale del Rinascimento.

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