Le Tradizioni della Settimana Santa a Martina

LE  TRADIZIONI DELLA SETTIMANA SANTA A MARTINA

Fede e folklore sono protagonisti della Pasqua e dei riti della Settimana Santa a Martina Franca che, come in tutta la Puglia, sono molto sentiti e partecipati e rappresentano per i turisti un’ottima occasione per sperimentare le nostre tradizioni più autentiche.

Numerose e caratteristiche le iniziative, iniziando dalla esposizione della Quarantena o Quarantana,  un fantoccio dalle sembianze di contadina che viene appeso il Mercoledì delle Ceneri in alcuni crocicchi del centro storico, per terminare con lo Sparo della Quarantena“ a indicare la fine della Quaresima, quando, il Sabato Santo, il fantoccio viene bruciato in piazza fra il giubilo dei presenti.

La Settimana di Passione, e di preparazione al solenne periodo Pasquale, inizia con la copertura nelle chiese delle immagini di Cristo (quadri, statue e crocifissi) con un telo di velluto nero o viola in segno di lutto e con un’intensa pulizia di ogni oggetto sacro e degli altari, che sarebbero stati superbamente addobbati con fiori e panneggi per essere pronti il Giovedì Santo, giorno dedicato al pellegrinaggio ai “Sepolcri”.

Grazie alle numerose contrade e ad un vasto territorio rurale comunale ancora densamente popolato, sopravvivono usanze antiche.
La Domenica delle Palme di buona mattina, giungevano ( e continuanoi a giungere) in paese i massari e i contadini con i loro rametti d’ulivo da far benedire durante la prima messa.
Tali ramoscelli d’ulivo venivano scambiati quale gesto simbolico di pace che spesso faceva riavvicinare dopo lunghi periodi di litigi parenti e amici.
Dopo le dovute visite ai parenti, era necessario ritornare in campagna per accudire gli animali e riprendere i lavori rurali che non concedevano tregua neppure nei giorni di festa.
A metà mattinata le strade dei paesi si affollavano di residenti, vestiti a festa, con bambini festosi nelle piazze o sui sagrati delle chiese.
Si tramanda, con il detto “Palma dorata palma inzuccherata”: occasione per i giovanotti di scambiare i ramoscelli d’ulivo con le promesse spose, le quali ricambiavano il giorno di Pasqua con un dolce che donavano alla futura suocera.
Il detto scaturiva dal dono delle palme che il fidanzato faceva alla promessa sposa; se le palme ricevute (o i ramoscelli d’ulivo) erano dorate a Pasqua avrebbero avuto in cambio dalla fanciulla il cavaddistr (dolce tipico, un tarallo impastato con farina e uova a forma di cavallo) inzuccherato, ossia coperto di glassa, senza glassa se la palma ricevuta fosse stata verde.
Pare che portato il dolce a casa della suocera la fanciulla doveva staccarne la testa e riporre il resto nelle mani del fidanzato, come segno di sottomissione al futuro capo di famiglia.
Il popolo dei credenti conservava uno o più ramoscelli d’ulivo benedetti da appendere agli usci domestici, anche sui punti più esposti esternamente dei trulli o delle masserie come simboli apotropaici che dovevano proteggere focolari, uomini, animali e messi.
I ramoscelli benedetti dovevano entrare in una sola abitazione, anche se donati, altrimenti se ne invalidava il potere benefico e si incenerivano prima di essere sostituiti da quelli dell’anno successivo.
Le ceneri si custodivano fino al Mercoledì delle Ceneri quando, portate in chiesa e benedette, il sacerdote ne spargeva un pizzico sul capo (o sulla fronte) dei fedeli per ricordare la caducità della vita terrena, una sorta di memento mori.

Da qualche anno è stata rivitalizzata a Martina Franca la festa dedicata a Cristo alla Grotta, grazie all’impegno appassionato e alla ricerca di antiche tradizioni dell’Accademia della Cutizza 2010.

A Martina Franca si celebrava anticamente il Cristo alla Grotta, una preziosa statua seicentesca di Cristo deposto nella omonima chiesa di origine rupestre, un tempo extramoenia, dove si conservano ancora scene della Passione affrescate.
Una lunga processione accompagnava la statua con i fedeli che reggevano delle croci in mano, alcune anche fabbricate in casa.
Era occasione per alcuni agricoltori di vendere lungo il percorso le carote gialle confezionate a mazzi con nastri colorati, di cui i bambini erano ghiotti come fossero dolci.
Attualmente la Chiesa viene aperta ai visitatori e officiata una messa, segue, a cura dell’Accademia, la rievocazione della Passione di Cristo declamata in vernacolo martinese e intervallata in alcune stazioni da canti del tenore Gianni Nasti con versi di Pietro Metastasio e musiche di Giovanni Griffi.
A seguire, come in passato, vengono distribuite le carote gialle ai partecipanti.

La sera del Giovedì Santo il centro storico è tradizionalmente affollato per il rito dei Sepolcri. Durante il tradizionale giro degli “altari della Reposizione” in cui è custodita l’Eucarestia  è possibile ammirare le stupende architetture barocche delle chiese martinesi, prima fra tutte la Basilica di San Martino.

Sulle tracce degli antichi Padri Carmelitani, l’Arciconfraternita del Carmine riprende un percorso devozionale ispirato ad uno dei più antichi privilegi insiti nella natura stessa del culto carmelitano: la visita ai Sepolcri.
L’affascinante storia del sodalizio martinese, sorto nel 1713, ci parla dell’esercizio del culto in stretta relazione con l’Arciconfraternita dello Scapolare in Roma.
Ma fu nel 1797 che l’autorità ecclesiastica regolamentò, in modo preciso, le modalità di partecipazione al Giovedi Santo per quanti si riconoscevano nel Mater Decor Cameli: vestendo il tipico sacco col bordone ed il cappello bianco guarnito di fettuccia cafè, procederanno scalzi, in coppia, muovendo verso i Sepolcri all’ora esatta della Reposizione di Gesù Cristo.
In stretta osservanza alle antiche disposizioni dell’Ordine, dieci coppie di confratelli, si muovono dalla chiesetta dell’Annunziata.
Passando per la tradizione ed un profondo senso liturgico, il sodalizio vuole riaffermare i valori che sono alla base del culto mariano così faticosamente ottenuti nei primi anni di vita. Non solo tradizione, dunque, ma profondissimo senso religioso.

La notte fra il Giovedì ed il Venerdì Santo, secondo una tradizione dell’Ottocento ripresa nel 1999, la confraternita “Natività e Dolori di Maria Santissima” reca in processione per le strade di Martina la statua della Madonna Addolorata, pregevole manichino in legno rivestito di seta trapunta d’oro, significando con ciò la Madre che va in cerca del Figlio carcerato dai Giudei.

Il venerdì santo è caratterizzato dalla processione dei Misteri.

La processione apre con la  Croce Penitenziale (“‘a crosce dìi Mistére”), una grande croce decorata con strumenti della Passione, che viene trasportata sulle spalle, in processione, da uno o più penitenti durante la Settimana Santa.

La grande Croce Penitenziale è affiancata da due troccole (“i turnàccule”) che risuonano il Venerdì Santo  e rappresentano una presenza soprattutto spirituale, che rimuove qualsiasi connotazione folcloristica o museale. Costruite da artigiani locali volontari, vengono benedette e scosse dai confratelli, sensibili interpreti del patrimonio culturale e religioso di Martina Franca, che fanno risuonare i rintocchi di legno e ferro di questa campana del Venerdì Santo.

I Misteri a Martina Franca sono statue che rappresentano eventi della vita di Cristo dalla separazione dalla Madre alla deposizione nel sepolcro e  il venerdì santo, vengono portati in processione per le viuzze della città.

I Misteri vennero costruiti nelle botteghe di Martina Franca, dove valenti artigiani-artisti gareggiarono in stile ed espressività nella tipica arte locale.

Gli arti ed il capo vennero direttamente scolpiti in blocchi di legno, mentre le vesti furono realizzate in spessa tela impregnata di colla che bloccava il movimento dei drappeggi. Quindi si procedeva all’ultima operazione che conferiva realismo alle opere: la pittura dei singoli personaggi e delle opere.

Del tutto particolare, la statua di Giuda (“Giòre”), che fino agli anni Trenta veniva presa a sassate: Giuda Iscariota colpevole di aver tradito; o probabilmente semplice strumento dell’adempimento delle scritture. A Martina Franca questa figura assume particolare importanza, il giorno del Venerdì Santo, con interrogativi quali quello famoso se Giuda andò incontro alla misericordia di Dio nonostante la disperazione del suo gesto. Condannato nei secoli, oggi la statua non viene più presa a sassate, perchè ci si chiede di quale peso collettivo è stata caricata nei secoli questa figura.

Tradizione cancellata era quella che durante la Processione dei Misteri le statue si fermavano davanti ad ogni chiesa e un gruppo di fedeli cantava in  latino-martinese lo “Stabat Mater Lacrimosa” con urla e pianti strazianti. Il rito si è protratto fino al 1983.

Il Lunedì in Albis si usava “seppellire il morticino”, cioè fare una scampagnata per mangiare gli avanzi del giorno di Pasqua. Molti andavano fino al monumento di Cristo Redentore con alti carri addobbati con nastri rossi, bandiere e quadri sacri. Si suonava e si cantava con le fisarmoniche e si andava fra i campi per fare il pic-nic e raccogliere i primi fiori di primavera. 
La scampagnata terminava con la Messa celebrata ai piedi della Statua del Cristo Redentore. 

 

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